Il passaggio dall’allattamento (naturale o artificiale) al cibo solido è una tappa significativa dello sviluppo del bambino ed è un momento evolutivo importante anche per la relazione di attaccamento con il caregiver. Un buon rapporto affettivo-relazionale favorisce anche un buon rapporto col cibo. Al contrario l’intrusività dei genitori o una loro scarsa comprensione affettiva prelude in genere a difficoltà del comportamento alimentare. Lo sviluppo del comportamento alimentare è influenzato in maniera determinante dalle esperienze dei primi 2 anni di vita del bambino durante i quali passa da una alimentazione esclusivamente lattea al consumo progressivo di alimenti complementari. Durante la gravidanza, il feto possiede già la capacità di riconoscere il sapore del liquido amniotico e l’esperienza intra-uterina ha un ruolo nello sviluppo delle successive preferenze alimentari. Il neonato differenzia già alcuni sapori, ma il suo orizzonte gustativo viene ancor più stimolato attraverso il latte materno, che gli trasmette i sapori dei cibi scelti dalla madre. Poi al momento dello svezzamento le sue papille gustative possono conoscere in modo completo il gusto degli alimenti. I genitori dovrebbero avere accesso a informazioni complete e coerenti sulle  modalità alimentari senza interferenze di tipo commerciale.

Attorno ai 6 mesi di età, a volte prima, a volte più tardi,  il bambino inizierà a manifestare interesse rispetto al cibo solido e a richiederlo attivamente. Di solito questo avviene quando il bimbo è pronto anche da un punto di vista neuromotorio e questo significa che gradualmente sarà in grado  di tenere la testa eretta, di stare seduto in ma­niera autonoma, di possedere un’adeguata coordinazione occhi-mano-bocca e mostrerà di aver perso il riflesso di estrusione della lingua (quello che gliela fa tirare fuori se si stimolano le labbra). In questa fase è molto importante far sedere il bimbo nel seggiolone a tavola con i genitori  in modo che questi possano cogliere i segnali del suo interesse per il cibo. I primi incontri con il cibo solido rappresentano una grande novità per cui è fondamentale che l’adulto trasmetta fiducia al bambino, accettando i primi rifiuti e continuando in serenità a proporre il cibo solido. Con il termine alimentazione responsiva si intende l’ insieme di risposte pronte, contingenti, emotivamente ed evolutivamente appropriate da parte dei genitori ai segnali di fame e sazietà del bambino in modo da far sì che il pasto possa essere un’esperienza relazionale e sociale e un’occasione per affinare competenze motorie, cognitive, emotive. Affinché ciò sia possibile è importante:

  • evitare assunzione passiva e con distrazioni;
  • lasciare libertà e spazio all’iniziativa;
  • favorire l’espressione di interesse e piacere;
  • sfruttare la predisposizione all’imitazione.

I bambini sono gene­ticamente predisposti a preferire alimenti dal sapore dolce, salato e umami  e alimenti con elevata densità energetica come quelli a maggior contenuto di grassi. Al contempo sono spesso portati a diffidare del sapore amaro presente in diverse verdure e dal sapore acido di diversi frutti.  Da un punto di vista evoluzionistico tali tendenze istintive  hanno protetto la specie dall’evitare,  nell’esplorazione di un ambiente difficile e imprevedibile,  cibi tossici (sapore amaro/acido) portando a preferire nutrienti indispensabili per la sopravvivenza (gluco­sio, sale, proteine, grassi). L’ industria alimentare ha saputo sfruttare questa tendenza orientando i consumi verso prodotti variamente manipolati dal sapore dolce, grasso e salato, facilmente accettati dal palato fin dai primi mesi di vita. Nonostante ciò, le preferenze innate del gusto non sono immutabili, ma possono essere modificate dalle esperienze sensoriali precoci. Il me­scolamento dei sapori/odori in un tutt’uno, come accade nelle pappe casalinghe in purea e negli alimenti industriali (sapori e consistenza sempre uguali a se stessi e direttamente veicolati in bocca con il cucchiaino), rende difficile il riconoscimento senso­riale differenziato dei vari cibi in base alle loro specifiche caratte­ristiche. Dai sei mesi in poi le gengive dei bimbi sono sufficientemen­te forti da gestire, anche senza i denti, cibi come verdure lesse, pasta, pezzetti di car­ne ecc. Nei bambini piccoli inoltre è molto forte il “riflesso faringeo”, cioè quello che allo stimolo del palato molle o della parte posteriore della lingua provoca un conato impedendo a corpi estranei di pene­trare  e in cui i bambini bloccano la respira­zione e protrudono la lingua nell’ intento di liberarsi di qualcosa che dà loro fastidio. È importante non confondere questo riflesso con il soffocamento ma come un segno che i riflessi funzionano.  La possibilità che il cibo prenda la via respirato­ria è reale e non va sottovalutata. Tuttavia, i bambini che hanno raggiunto una adeguata maturità neuro­logica e  che non sono forzati a mangiare, hanno le competenze necessarie per evitare il soffocamento.

L’ acquisizione di preferenze o avversioni per gli alimenti da parte dei bambini è fortemente influenzata dal tono emotivo/affettivo associato alle interazioni che si svolgono durante l’ atto del man­giare. Nel piatto va messa una piccola quantità di cibo, bisogna proporre nella giusta varietà e qua­lità gli alimenti domestici sminuzzati, tagliati a pezzi, tritu­rati, schiacciati usando il cucchiaino quando il bambino lo desidera, e inoltre permettere al bambino di divertirsi nel manipolare il cibo, offrendogli all’ inizio pezzi sagomati a forma di manico e di lunghezza sufficiente per essere fa­cilmente impugnati con il palmo della mano, così da poter mangiare la parte che sporge, visto che a 6-7 mesi non è an­cora in grado di prendere pezzetti di cibo fra pollice e indice, come riuscirà a fare più avanti fra gli 8 e i 10 mesi di età. Il primo anno di vita è importante per lo sviluppo del cervello per cui i bambini che vanno incontro a malnutrizione in questo periodo possono presentare ritardo rispetto ai coetanei. Esclusa la possibilità di un disturbo di tipo medico che possa portare a inappetenza e/o sottopeso, è importante inquadrare  i sintomi all’interno di una cornice relazionale affettiva. Spesso può capitare che i problemi alimentari emergano successivamente a  cambiamenti e traumi come malattia, ospedalizzazione, lutti, trasloco, l’inserimento al nido ed è  comprensibile che un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio figlio, possa sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire. Il bambino, a sua volta, può leggere la preoccupazione del genitore e attivare risposte comportamentali come reazione allo stato d’animo dei genitori. In questi casi il supporto psicologico è fondamentale per ri-dare ai genitori fiducia nelle loro risorse e la possibilità di comprendere e superare le difficoltà.

A volte, parallelamente allo sviluppo delle capacità motorie, quando il bimbo inizia a camminare, può manifestare una resistenza a nuovi alimenti mostrando un rifiuto ad assaggiare cibi nuovi. Tale atteggiamento è denominato “neofobia” , è spesso transitorio e riguarda il 20% dei bambini. La facilitazione familiare e sociale in questi casi può vincere il negativismo se i genitori hanno la pazienza di rispettare i tempi del bambino nell’accogliere quel nuovo sapore e spesso sono necessarie fino a 8/10 esposizioni prima che il  bimbo  accetti un nuovo alimento. Inoltre nella proposta di nuovi sapori non dobbiamo dimenticare che i bambini capiscono benissimo se l’alimento a loro proposto è gradito o meno anche all’adulto e dunque non bisogna stupirsi emergono dei comportamenti alimentari  differenti a casa e al nido! L’abitudine alimentare è un comportamento che si stabilisce dopo ripetizioni frequenti di una specifica attività e una volta che si è stabilizzata ci vuole tempo e pazienza affinchè possa cambiare ma soprattutto sarà necessario capire “come fare”. Per cui, appare chiaro come l’esposizione precoce a una vasta gamma di sapori sia la chiave per promuovere nei bambini il desiderio di mangiare frutta e verdura oltre che per ridurre la neofobia.

Qualora si desidera cambiare delle abitudini alimentari nei bimbi più grandi la parola chiave è gradualità!

Le punizioni, lo stare addosso, l’atteggiamento minaccioso risultano essere strategie fallimentari! Se per esempio non vogliamo che i bimbi mangino cioccolato e/o merendine dopo cena invece di rimproverarli sarebbe più opportuno evitare di comprarli e sistemarli in luoghi nascosti. Inoltre, è fondamentale che, nel cambiamento di abitudini alimentari, per conseguire risultati duraturi, tutta la famiglia sia coinvolta e partecipe nello sviluppare atteggiamenti più corretti. Il sistema educativo familiare influisce nel rapporto con il cibo e il modeling, ovvero il processo di apprendimento sociale per imitazione, è uno dei rinforzi più potenti del comportamento perché per il bambino il comportamento genitoriale rappresenta un modello da imitare!

Ogni sintomo manifestato può avere un valore relazionale profondo: il rifiuto e l’abuso di cibo, quando il linguaggio non è ancora pienamente sviluppato ma non solo, sono comportamenti attraverso i quali i bambini cercano di comunicare messaggi importanti.  Il compito del genitore sarà dunque quello di ascoltare è accogliere la richiesta del figlio, cercando la soluzione più efficace e laddove sia necessario il sostegno di un professionista. Lo psicologo che lavora con le problematiche alimentari interviene nell’ambito dell’educazione alimentare ovvero portando l’attenzione sul “come mangiare”  e sulle modalità relazionali della famiglia. L’intervento rivolto ai bambini infatti prevede necessariamente il coinvolgimento di ogni membro familiare, in particolare dei genitori. I bambini, al contrario di ciò che spesso si pensa, possiedono meccanismi regolatori automatici  attraverso i quali sono in grado di riconoscere quando hanno fame e quando sono sazi. Affinché questo meccanismo possa agire in modo corretto è pero indispensabile che non sia stata creata un’associazione scorretta con il cibo e che questo venga offerto solo in presenza degli stimoli fisiologici.

Spesso i genitori,  non avendo questo tipo di informazione e/o per vissuti emotivi interiorizzati,  forzano i loro bambini a mangiare e/o utilizzano il cibo al fine di soddisfare i bisogni emozionali dei figli (cibo calmante, cibo consolazione: es. dare un cioccolatino quando il bimbo piange) o di promuoverne comportamenti adeguati (cibo premio: se fai il bravo ti do una caramella; cibo punizione: se non mangi non potrai giocare).

Ai genitori che si rivolgono a me con richieste di questo tipo: “mio figlio è selettivo”, “mangia troppo, l’ho portato dal dietologo ma non riesce a perdere peso”, “mio figlio mangia troppo poco”, “mio figlio non mangia frutta e verdura”, ecc, offro innanzitutto uno spazio di accoglienza, senza giudizio, in cui ri-vedere e riconoscere in maniera più profonda il comportamento manifesto del bambino aiutandoli a diventare consapevoli di come determinati modelli familiari/culturali interiorizzati, i loro vissuti, e il loro comportamento possano influenzare le risposte del bambino. In seguito, a seconda degli obiettivi concordati, si può intraprendere un percorso di rieducazione alimentare finalizzato ad acquisire strumenti e strategie coerenti, funzionali ed efficaci per risolvere il problema e migliorare il benessere familiare.