L’obesità è diventata uno dei maggiori problemi di sanità pubblica in Italia e come dimostra la “Childhood Obesity Surveillance Initiative” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia figura tra le nazioni con i più elevati livelli di sovrappeso e obesità infantile. I bambini in sovrappeso spesso hanno uno sviluppo anticipato con un emergere anticipato del menarca per le bambine e dello sviluppo fisico nei ragazzi. L’esordio precoce prima dei sei anni è un fattore di rischio di cronicizzazione della patologia in età adulta. Numerose ricerche indicano come i figli di genitori con sovrappeso/obesità abbiano una maggiore possibilità di diventare obesi loro stessi.  L’ereditarietà quindi ha una sua influenza ma altrettanto importante è il comportamento genitoriale precoce rispetto al cibo, per cui, dal momento che i geni non si possono modificare, è responsabilità dei genitori modificare il proprio stile di vita già a partire dal concepimento del bambino in modo da modificare l’ espressività dei geni stessi.

Rispetto a tale patologia ancora oggi esiste uno stigma sociale, una discriminazione sul peso detta “Anti-Fat Attitudes” che porta a ritenere le persone con obesità “colpevoli”, pigre, sciatte, senza forza di volontà, incuranti della propria salute. Tale atteggiamento porta ad ignorare la complessità dell’obesità la quale è una malattia cronica causata dall’ interazione tra fattori genetici, biologici, ambientali, psicologici e comportamentali.

Numerose ricerche hanno dimostrato l’effetto negativo che l’obesità ha sin dall’età evolutiva nel soggetto che ne soffre: risultati scolastici mediocri, bassa autostima, problematiche legate all’immagine corporea, sentimenti di rifiuto da parte dei coetanei, difficoltà di inserimento sociale e la progressiva emarginazione. Inoltre i bambini in sovrappeso/obesi corrono maggiormente il rischio di essere vittime di bullismo e allo stesso tempo possono presentare problemi di condotta e comportamento aggressivo.

Molti genitori di bimbi con obesità sottopongono precocemente il figlio a una dieta restrittiva e ciò non fa che peggiorare la situazione poiché, il bambino può sentirsi maggiormente stigmatizzato, inadeguato e incapace di rispondere alle aspettative genitoriali.  Inoltre, essendo l’obesità e il dieting in età pediatrica fattori di vulnerabilità per lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare appare chiaro come, tale patologia espone a gravi rischi per la salute psicofisica. Nei ragazzi con obesità sono spesso presenti comportamenti alimentari disfunzionali che portano a“piluccare” di continuo durante la giornata e al consumo frequente di comfort food (cibi che consolano-ipercalorici) al di fuori dei pasti. Il cibo dunque diventa spesso uno strumento attraverso il quale soddisfare altri tipi di bisogni ai quali la persona con obesità fa fatica a rispondere poiché è come se soffrisse di un’analfabetizzazione emotiva/corporea ovvero un’incapacità a riconoscere adeguatamente le proprie sensazioni corporee, ed in particolare, quelle della fame e della sazietà, nonché a descrivere con il termine “fame” bisogni, sensazioni o stati emotivi del tutto diversi tra loro. Le radici di tale difficoltà spesso risalgono alle prime esperienze relazionali nelle quali alcune convinzioni culturali/familiari errate tipo che “un bambino grasso è un bambino bello e sano”, una scarsa sintonizzazione e discriminazione del caregiver rispetto i bisogni del bambino può creare un’associazione disfunzionale tra cibo ed emozioni e un’incapacità nella discriminazione sensoriale/affettiva.

L’aumento di peso può rappresentare simbolicamente una sorta di “ritenzione emotiva”: la persona accumula emozioni che non sente come tali o che non riesce a fronteggiare. Il rapporto con il cibo è quindi ambivalente: da una parte è utilizzato come strumento consolatorio per colmare un vuoto ma tale appagamento è illusorio e lo strato corporeo che l’abuso di cibo determina diventa l’involucro nel quale nascondersi/proteggersi da se stessi e dagli altri.

Durante l’evoluzione della malattia, inoltre, la persona con obesità può perdere progressivamente la propria autostima a causa dei ripetuti fallimenti nella perdita di peso, e ciò determina l’innesco di  un circolo vizioso in cui il soggetto alterna momenti di restrizione alimentare con altri di perdita di controllo, con lo sviluppo e il mantenimento di pensieri e comportamenti che perpetuano la condizione di sofferenza.

Il rispetto verso chi é affetto da questa patologia é fondamentale per la sua cura e gestione.

Un intervento finalizzato alla cura dell’obesità necessita dunque di un trattamento multidisciplinare all’interno del quale è fondamentale la terapia psicologica. Intervenire solo sul peso senza la comprensione di cosa pesa nella vita del soggetto non porta benefici a lungo termine perché la radice del problema rimane nascosta e disconosciuta.

All’interno di un percorso psicoterapeutico rivolto a un adulto con obesità il mio approccio mi porta a lavorare secondo un’ottica psicocorporea, rispettando il ritmo e i tempi del paziente, su diverse aree affinché la persona possa:

  • acquisire consapevolezza sul proprio mondo emotivo;
  • imparare a gestire le emozioni in maniera funzionale;
  • riconoscere e distinguere la fame emotiva dalla fame fisiologica;
  • sviluppare la capacità di percepire e riconoscere le sensazioni fisiche;
  • acquisire strumenti/tecniche corporee per gestire la tensione emotiva/fisica;
  • migliorare il rapporto con il proprio corpo;
  • imparare a mangiare in modo consapevole;
  • ridurre l’inattività e incentivare il movimento fisico.

Nell’ambito dell’intervento rivolto ai bambini con sovrappeso/obesità invece mi rivolgo sempre al nucleo familiare affinché ci sia una comprensione sistemica del “sintomo” del bambino e il coinvolgimento attivo di ogni membro nel cambiamento dello stile di vita. I genitori sono indispensabili nel processo terapeutico per cui è necessario che diventino consapevoli delle proprie risorse e che siano disponibili a lavorare sul miglioramento delle capacità emotive che possano permettere loro di sintonizzarsi  e riconoscere i bisogni dei figli rispondendo ad essi in maniera coerente e adeguata. I bambini hanno bisogno di almeno 30 minuti quotidiani di movimento a moderata intensità (il bisogno cresce laddove il fabbisogno energetico aumenta) ma è importante rispettare le capacità e i limiti di ciascuno per cui inizialmente non è necessario praticare uno sport e laddove sia presente una “pigrizia familiare”, nell’ottica di ridurre l’inattività di tutta la famiglia, sarebbe per esempio utile  che i genitori  programmassero di fare insieme al proprio figlio attività all’aria aperta(camminare, bicicletta, corsa, ecc) favorendo con la condivisione anche il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino.