I disturbi del comportamento alimentare sono un gruppo di condizioni estremamente complesse e strettamente inter-correlate tra loro dalla presenza di un anomalo rapporto con il cibo e una distorsione dell’immagine corporea, ma con caratteristiche cliniche e psicopatologiche differenti. Dietro il comportamento alimentare “insolito” esiste una difficoltà ad esprimere ciò che si sente, un profondo disagio affettivo riconducibile a una mancata risposta alla domanda di amore.
L’eziopatogenesi dei dca è multifattoriale per cui è necessario prendere in considerazione variabili ambientali, individuali e sociali e inquadrare la problematica in un’ottica sistemica.
I soggetti colpiti inizialmente non hanno consapevolezza del problema e, soprattutto credono di poter controllare il loro comportamento. Successivamente, a causa del forte disagio psichico e dei vissuti emotivi associati al loro comportamento quali negazione, ambivalenza, segretezza e vergogna, diventa per il soggetto molto difficile parlare apertamente del suo problema.
Prevenire significa intervenire prima, aiutando genitori e adulti a riconoscere i segnali di disagio del proprio figlio/a, del proprio compagno/compagna, amico/a, familiare, se stessi.
Una diagnosi precoce è fondamentale per una prognosi migliore.
Le persone che soffrono di disturbi alimentari giudicano se stesse in modo predominante o esclusivo in termini di controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo (spesso tutte e tre le caratteristiche)
Tale sistema di valutazione è disfunzionale poiché valutarsi prevalentemente in un dominio porta la persona a imporsi dei criteri di valutazione irrealistici e inoltre la focalizzazione esclusiva sul peso e la forma del corpo marginalizza altre aree della vita, riducendo gli interessi e l’impegno in altri domini della vita (per es. scuola, relazioni, lavoro) che contribuiscono a sviluppare un sistema di autovalutazione funzionale e più articolato.
Ma quali sono i fattori che predispongono all’insorgenza di un Dca? Nella patogenesi di queste patologie concorrono fattori biologici a partire dalle predisposizioni genetiche, fattori ambientali (precoci e tardivi), fattori psicologici. Gli studi genetici non hanno portato a riscontrare geni direttamente responsabili di queste patologie, ma costellazioni genetiche che aumentano la vulnerabilità. Per fattori ambientali precoci si intendono quei fattori di rischio che interferiscono con le prime fasi del neurosviluppo e con la maturazione e la programmazione dei sistemi di risposta allo stress: condizioni di vita intrauterina, le complicanze perinatali, le separazioni precoci dalle figure di accudimento. Per fattori di rischio ambientale tardivi, invece, si intendono: gli abusi nell’infanzia, gli stress psicosociali, le relazioni familiari caratterizzate da una forte conflittualità tra i genitori e tra genitori e figli, l’abuso di sostanze psicoattive, l’esposizione a pressioni verso la magrezza da parte di membri del gruppo familiare o dell’area relazionale e affettiva in cui il soggetto vive. Tra i fattori psicologici individuiamo alcune caratteristiche di personalità: il perfezionismo, l’impulsività, la tendenza all’ansia anticipatoria e all’evitamento, il bisogno di controllo sugli altri e sulla propria vita emotiva, l’ossessività. Rispetto all’età di esordio, molta attenzione merita la pubertà essendo il tempo di grandi cambiamenti fisiologici e psicologici, in cui l’immagine del corpo subisce una vera e propria metamorfosi e il cervello è in una fase particolarmente vulnerabile. Tuttavia i disturbi alimentari non colpiscono soltanto gli adolescenti, ma anche adulti. Talvolta, può succedere che un disturbo alimentare “sottosoglia” trascurato agli esordi possa poi emergere in età adulta o che un nucleo problematico possa slatentizzarsi in seguito a un cambiamento importante, vissuto dalla persona come stressor attivando la patologia alimentare. Traumi, separazioni, malattie, lutti, costringono a rimettere in discussione il mondo interno ed esterno dell’individuo che può sviluppare un sintomo alimentare come tentativo di superare il profondo disagio emotivo che investe la persona la quale, di fronte al dolore mette in atto la strategia più funzionale per lei in quel momento. Tutto ciò concorre alla patogenesi dei Dca per i quali occorre vedere la patologia come una sorta di fiume alle acque del quale hanno concorso molti affluenti, diversi e in proporzione differente da caso a caso e per i quali è necessario individualizzare il trattamento.
I criteri diagnostici per i DCA sono stati aggiornati nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), prodotto dall’American Psychiatric Association.
Di seguito, elencherò i criteri principali che definiscono i disturbi alimentari maggiormente diffusi, tenendo in considerazione che spesso, è più frequente trovare forme “miste” e che nella storia clinica della persona si verifichi una “migrazione” da un disturbo all’altro.
L’anoressia nervosa si caratterizza per:
- restrizione dell’apporto energetico che conduce a una consistente perdita di peso corporeo;
- intensa paura di ingrassare anche se si è sottopeso;
- alterazione del modo in cui il soggetto percepisce la sua immagine corporea e eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima
La bulimia nervosa si caratterizza per:
- ricorrenti episodi di abbuffate alimentari caratterizzate da un’ ingestione di una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo, di solito 2 ore, con la sensazione di perdere il controllo e di non riuscire a smettere;
- comportamenti di compenso volti a evitare l’aumento di peso, come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi o enteroclismi, l’uso improprio di diuretici, il digiuno protratto o l’esercizio fisico eccessivo;
- le abbuffate e i comportamenti compensatori inappropriati avvengono almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
- stima di sé eccessivamente influenzata dalla forma e dal peso del corpo.
Il Binge Eating Disorder condivide con la bulimia nervosa gli episodi di abbuffate, ma non le pratiche di compenso volte a impedire l’aumento di peso, per cui i soggetti possono sviluppare una condizione di obesità. Spesso le abbuffate avvengono in solitudine, e in seguito la persona sperimenta sensazioni di vergogna, sensi di colpa e disperazione. L’obesità non è considerato un disturbo alimentare essendo una patologia cronica dovuta a uno squilibrio fra introito calorico e spesa energetica ma tuttavia è la condizione medica generale più frequentemente osservata nei pazienti con disturbi dell’alimentazione, risultando particolarmente comune nelle persone affette da BED. Essa può precedere la comparsa di un disturbo dell’alimentazione, rappresentando a volte un fattore di rischio per tale sviluppo.
Recentemente inoltre si stanno diffondendo altri tipi di comportamenti alimentari “insoliti” ma non considerati ancora patologici: l’ortoressia e la vigoressia. L’ortoressia è il bisogno di cibi sani, biologici, puri che non intossichino. L’attenzione è molto concentrata sulla qualità dell’alimentazione e sull’evitamento delle situazioni sociali che espongono al non controllo del cibo. La Vigoressia è un disturbo che riguarda soprattutto il genere maschile ed è caratterizzato da iperinvestimento sul corpo e ricerca della perfezione fisica attraverso un lavoro fisico muscolare intenso, tendenza a consumare cibi ipocalorici e/o abusare di integratori alimentari e un’insoddisfazione per il proprio corpo nonostante l’enorme sforzo profuso. Aldilà delle categorie diagnostiche è importante considerare gli effetti sulla vita, in particolare nella sfera relazionale. L’ossessione intensa per il cibo, il peso e le forme corporee è in ogni modo un sostituto difensivo contro i conflitti associati al raggiungimento dell’identità personale.
Quali sono dunque i comportamenti che possiamo considerare campanelli di allarme per l’insorgenza di un disturbo alimentare?
- conto delle calorie, pesarsi più volte al giorno, body checking (osservare il corpo ripetutamente in maniera ossessiva);
- Significative e frequenti oscillazioni di peso, cambiamenti nella forma del corpo;
- comportamenti alimentari insoliti: spezzettare il cibo, rifiuto di alcune categorie di cibo, abbuffate e/o digiuni protratti;
- sentimenti di colpa e di vergogna relativamente all’alimentazione (es. non volere mangiare di fronte agli altri);
- comportamenti di compensazione: vomito autoindotto, uso improprio di lassativi, diuretici, eccessiva attività fisica;
- ipersensibilità verso critiche di ogni tipo, in particolare rivolte al corpo;
- cambiamenti emotivi: irritabilità, tristezza, ritiro sociale.
Cosa fare per aiutare chi soffre di un disturbo alimentare?
- Non colpevolizzare e giudicare ma aiutare chi soffre a vedere aldilà di problemi di cibo e di peso; è importante che la persona prenda consapevolezza di quali conseguenze il problema porta nelle relazioni interpersonali, autostima, salute, tono dell’umore, capacità;
- Fornire supporto, mantenere un contatto affettivo nonostante le difficoltà nella relazione;
- Incoraggiare la persona a chiedere un aiuto professionale, una diagnosi e un trattamento precoce e multidisciplinare (medico e/o nutrizionale e psichiatrico e/o psicoterapeutico) sono fondamentali per una prognosi più favorevole.
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