James Pennebaker, professore di psicologia presso l’Università del Texas, ha inaugurato un filone di studi mirati a chiarire gli effetti della scrittura espressiva e i meccanismi psicologici e psicofisiologici che si attivano traducendo in parole traumi ed esperienze stressanti. Egli dimostrò attraverso una serie di ricerche, che descrivere le situazioni difficili della propria vita, cercando di chiarire ciò che si pensa e si prova al riguardo, serve non solo a fare chiarezza in se stessi e a “sfogarsi” ma può anche migliorare lo stato generale di salute, favorire l’efficienza personale e modificare in senso positivo gli atteggiamenti e le relazioni interpersonali. Pennebaker spiegò che gli effetti benefici della scrittura espressiva fossero dovuti alla disinibizione, ovvero all’espressione di pensieri ed emozioni taciuti agli altri e in parte nascosti a se stessi. Le persone inclini all’inibizione si troverebbero in pericolo più che altro quando sono costrette ad affrontare un trauma. L’inibizione attiva, secondo Pennebaker, è “lavoro fisico”. Per inibire attivamente i propri pensieri, sentimenti o comportamenti è necessario un lavoro fisiologico. L’inibizione, così come sostiene Laborit (per approfondimento leggere l’articolo “corpo e benessere psicofisico”) produce alcuni cambiamenti biologici a breve termine e influisce sulla salute a lungo termine. Sul breve periodo si riflette in cambiamenti fisiologici immediati, per esempio con una maggiore sudorazione. Con il passare del tempo, agisce sull’organismo come uno stressor cumulativo, aumentando la probabilità di ammalarsi o di sviluppare altri problemi fisici e psicologici associati allo stress. L’inibizione attiva può essere considerata uno dei molti stressor generali che agiscono sulla mente e sul corpo. L’inibizione attiva è associata anche a modificazioni del pensiero potenzialmente deleterie. Tipicamente, reprimendo pensieri e affetti importanti associati a un evento, noi non pensiamo a quel fatto in modo esplicito, approfondito e funzionale alla sua integrazione. Non parlando di un evento inibito, per esempio, di solito non lo traduciamo in parole, e questo ci impedisce di comprenderlo e di assimilarlo. Di conseguenza, le esperienze significative che vengono inibite affioreranno probabilmente sotto forma di sogni, ruminazioni mentali e altri disturbi del pensiero analoghi. All’opposto dell’inibizione attiva c’è il confronto. L’atto di confrontarsi direttamente con il trauma riduce il lavoro fisiologico di inibizione. Durante il confronto, lo stress biologico dell’inibizione si riduce immediatamente. Una volta tradotta in parole, l’esperienza può essere meglio compresa e superata (Pennebaker, 1997).

Scrivere di sè dunque significa entrare in un processo di trasformazione, un processo in cui prendono forma e voce le diverse parti di noi, soprattutto quelle che di solito restano in ombra, che non vogliamo vedere. Si può scrivere di sé per conoscersi meglio e aumentare la consapevolezza delle proprie emozioni come attività/hobby personale, oppure si può “lavorare” attraverso questo strumento in psicoterapia. La scrittura è sempre stata una mia passione e ne ho sempre riconosciuto i benefici motivo per cui,  nella mia attività professionale utilizzo la scrittura come “strumento”  di esplorazione sia in seduta individuale che in gruppo. Anche in questo caso, il corpo è per me strumento prezioso per far si che la scrittura sia una “pratica autentica”. Il corpo, infatti, non fugge all’evidenza, non racconta una storia fittizia, il corpo parla sempre di noi, di quello che stiamo sentendo: i nostri piedi, le nostre mani, l’espressione, la colonna vertebrale, le braccia, le mani, i gesti; il corpo parla di quello che siamo. Il salto dall’ascolto corporeo all’azione espressiva richiede un abbandono, una sorta di “smarrimento” della nostra parte razionale, per lasciare scorrere l’esperienza accettando di non sapere dove questa ci porterà. Quando scriviamo liberamente rimanendo in contatto con le nostre sensazioni ed emozioni, senza cercare di fare bella figura e di eseguire un buon compito, ma semplicemente seguendo il flusso dell’esperienza presente e dando spazio a questo flusso di manifestarsi, si attiva la zona destra del cervello che ci permette di essere creativi, intuitivi, di seguire l’intelligenza del corpo piuttosto che la logica del pensiero, dare spazio all’ immaginazione piuttosto che restare intrappolati nei soliti schemi mentali e sperimentarsi. Ognuno di noi può lasciare volontariamente una traccia scritta della propria esperienza di vita.

Se vuoi provare a sperimentare questa pratica prova a seguire questi suggerimenti:

  • scegli accuratamente un quaderno (il colore, il tipo di carta, la grandezza, la forma) dove custodire i tuoi pensieri;
  • scrivi ogni volta che ne hai voglia o ne senti il bisogno;
  • trova una stanza in cui non sarai interrotta/o, né disturbata/o da rumori, immagini e odori;
  • concentrati sul “qui e ora” e scrivi a partire da cosa ti accade nel presente;
  • qualunque sia l’argomento, è essenziale esplorare sia l’esperienza oggettiva(i fatti) sia i tuoi sentimenti in proposito;
  • non preoccuparti della grammatica, dell’ortografia o della struttura della frase;
  • non usare la scrittura come sostituto dell’azione o come strategia di evitamento;
  • senti nel tuo corpo cosa succede sia durante la pratica che  dopo aver riletto il tuo testo;
  • dai ampio spazio alla tua creatività, ogni vita merita un romanzo!