Gli studi sull’interazione madre e bambino  e le scoperte in ambito neuroscientifico  hanno evidenziato che lo sviluppo dell’individuo si realizza in un processo relazionale, in cui entrambi i partner della diade hanno un ruolo organizzativo e attivo, e nel quale le esperienze vissute consentono la creazione delle reti neurali, la moltiplicazione delle connessioni sinaptiche, la selezione e l’attivazione di alcune popolazioni neuronali, piuttosto che di altre. Il bambino, non solo già dai primi giorni di nascita, dimostra di avere delle competenze espressive che lo rendono “attivo” negli scambi comunicativi con il caregiver ma può anche ritenersi, a tutti gli effetti, tanto quanto l’adulto, “competente” e co-responsabile del processo di regolazione emotiva che scandisce il ritmo e il tono del processo relazionale. La maggior parte delle donne culla il proprio bambino sulla parte sinistra del corpo (controllata dall’emisfero destro). L’emisfero destro del bambino, che è dominante per la sua elaborazione delle informazioni emotive e visive e dunque per il riconoscimento del volto e delle sue espressioni, è sintonizzato a livello neurobiologico con l’output dell’emisfero destro della madre implicato a sua volta nell’espressione e nell’elaborazione delle informazioni emotive e nella comunicazione non verbale. Entrambi i partner della diade costruiscono insieme modalità regolatorie che comprendono processi di autoregolazione e di regolazione interattiva. Nel momento di incontro avviene un riconoscimento reciproco che favorisce lo sviluppo di un senso di identità. Questa influenza reciproca in cui ogni partner dà un proprio contributo alla scambio in corso può essere definita “co-costruzione”. La vista ha un ruolo centrale nella costruzione dell’attaccamento e dunque nelle prime esperienza interattive e sin dal secondo mese di vita il bambino prova un interesse intenso verso il volto della madre. Quest’ultimo, definito lo specchio biologico o emotivo del bambino, è lo “strumento” principale attraverso il quale avviene la modulazione degli stati dell’individuo nel primo anno di vita, amplificando e permettendo l’evoluzione della tolleranza affettiva per livelli di vigilanza sempre più elevati.  Per la crescita di un Sé adeguato è necessaria quindi la capacità della madre di mettersi in sintonia affettiva con il bambino cercando di rispecchiare gli stati di animo del figlio. Una sana sintonizzazione produce un importante processo di apprendimento poiché il bambino scopre nuove variazioni sul modo in cui funzionano le emozioni. Attraverso la sintonizzazione il bambino dovrebbe giungere a conoscere la soggettività dell’altro come collegata alla propria ma diversa da sé. Si parla di disregolazione nell’interazione madre-bambino quando: l’atteggiamento della madre è rigido (troppo intrusivo o distante); lo scambio affettivo è incoerente in quanto manca una sintonizzazione con i bisogni dell’altro; il bambino non riesce a costruire un nucleo affettivo positivo e percepisce se stesso e il genitore come persone inefficaci. Per la diade madre-bambino, sperimentare episodi isolati  di fallimento nella relazione, non costituisce di per se causa di un risvolto patologico. Se si sono sperimentate abitualmente relazioni gratificanti e se si è avuto la possibilità di riparare errori e di trasformare affetti negativi in positivi il bambino cresce e mantiene l’interesse nei confronti dell’ambiente esterno anche di fronte situazioni stressanti. Al contrario se i tentativi di rimediare falliscono il bambino non riesce a costruire un nucleo positivo e non è in grado di stabilire confini netti tra sé e gli altri. La funzione riparativa è una forza fondamentale nell’esperienza del bambino e rende possibile lo sviluppo di un attaccamento sicuro. Il bambino che cresce in un ambiente “invalidante”,  nel quale persiste la tendenza a rispondere in maniera inappropriata alle esperienze personali dell’individuo, apprende che alcune emozioni ed esperienze soggettive non sono accettabili e costituiscono un rischio dal momento che comportano azioni di rifiuto, punizione, disapprovazione. Un ambiente invalidante determina difficoltà nell’etichettare con un nome le emozioni che si provano, inabilità a fidarsi delle proprie emozioni come valide interpretazioni degli eventi, incapacità di tollerare lo stress o di regolare l’attivazione, invalidazione della propria esperienza soggettiva. L’autoinvalidazione insegna alla persona a non fidarsi degli stati interni e a dipendere invece dall’ambiente per ricevere indicazioni su come rispondere. Questa tendenza a cercare la validazione esterna compromette lo sviluppo del senso del Sé.

Le emozioni possono essere descritte come stati di arousal e attivazione che coinvolgono il cervello e altri sistemi dell’organismo e che a livello della mente influenzano l’elaborazione delle informazioni attraverso processi di valutazioni dei significati. La regolazione emotiva è considerata pertanto un costrutto multidimensionale, caratterizzato da:

  • disponibilità a sperimentare emozioni negative o positive
  • consapevolezza, comprensione e accettazione dei diversi stati emotivi;
  • impegnarsi nel raggiungimento dell’obiettivo, in risposta ad emozioni sia positive che negative;
  • uso flessibile di strategie adeguate al contesto per modulare l’intensità e/o la durata della risposta emotiva,
  • spostamento e non soppressione l’emozione disfunzionale.

La presenza di carenze in una di queste aree sono considerate indici di difficoltà di regolazione emotiva. In questi casi si parlerà di disregolazione emotiva, la quale può determinare l’emergere di condizioni psicopatologiche (disturbi dell’umore, ansia, dipendenze, disturbi alimentari, disturbi di personalità).

La psicoterapia è il luogo in cui, il paziente sperimentando una nuova modalità relazionale, può migliorare la sua capacità di autoregolazione e apprendere a denominare, monitorare e codificare le reazioni emotive imparando a tollerare le esperienze emotive  anche quando non possono essere modificate. Il terapeuta biosistemico può guidare il paziente all’ esplorazione del “mare interiore” portando l’ attenzione sul mondo interno della mente, a partire dal corpo. Nella psicoterapia biosistemica al corpo è data un’attenzione particolare e in ogni incontro terapeutico attraverso l’osservazione del corpo dell’altro, l’ascolto delle proprie sensazioni e il feedback del paziente, il terapeuta può raccogliere preziose informazioni. L’attenzione focalizzata sui cinque sensi, l’ascolto delle sensazioni del corpo, delle emozioni, delle immagini e dei pensieri fa sì che gradualmente nel paziente  abbia luogo un processo di  integrazione dentro di sé e fra sé e gli altri proprio perché la mente è  incarnata, incorporata, relazionale .  La memoria corporea è costituita da tracce di eventi del passato, e attraverso di essa è possibile risalire agli avvenimenti, anche preverbali, che hanno ostacolato uno sviluppo pieno del Sé. Nel corso della terapia si lavora per recuperare e ricostruire particolari modalità di relazione sperimentando insieme al paziente quelle esperienze di base per il Sé che costituiscono i bisogni fondamentali di cui ogni individuo necessita di fare esperienza. Ricercare sempre e più complesse connessioni nel corpo e tra le varie parti dell’individuo fa sì che ci possa essere infine l’espressione dell’emozione inibita, si possa sciogliere il nodo che si è creato e quindi il disagio e la difficoltà che la persona sente. Non appena l’organizzazione del corpo cambia in termini di postura, movimento e livello di attivazione e tono energetico, emerge un differente e più positivo senso di Sé il quale affiora non solo nel contesto di pensieri, credenze e immagini ma anche dall’organizzazione fisica del corpo. Lavorare in questo modo sulle emozioni e sulla possibilità di alzare i livelli sopportabili di arousal permette alle persone di riuscire a gestire meglio la possibilità di vivere con la quota di incertezza che è inevitabile. Il terapeuta biosistemico attraverso “domande tipiche”  quali: “come ti senti?”, “dove lo senti nel corpo?”,  “descrivi la sensazione”, “resta in contatto con questa sensazione”, aiuta la persona a integrare pensieri, sensazioni ed emozioni. Inoltre gli esercizi di respirazione, i metodi attivi, il contatto (emotivo e fisico), la messa in scena, l’uso degli oggetti, sono alcune delle “strade” di cui il terapeuta può servirsi per aiutare il paziente a incorporare la sua parte più intima attraverso il contatto con la vita del corpo sentito il cui incontro offre sempre momenti di affettività intensa.